Di tasse ai ricchi e rivolte nelle strade
Considerazioni del fondatore di inPrimis Francesco Zambelli
Difficile prevedere come andrà a finire la proposta di socialisti e Podemos sull’alzare le tasse ai più ricchi. Ci sarà gente che scapperà con la residenza all’estero, scatteranno pratiche di “ottimizzazione fiscale” (come le chiamano quelli che guadagnano proprio dal far pagare meno tasse a chi sente il bisogno di accumulare ancor di più), magari frutterà pochi milioni di euro e occuperà il dibattito pubblico per mesi. Eppure penso sia un segnale.
Nelle piazze di questi giorni che protestano non ci sono solo ultras e fascisti. A Milano, come ha spiegato bene Roberto Maggioni di Radio Popolare e raccontato anche da Milano in Movimento, a Torino, come ha raccontato il portale di informazione infoAut, nelle altre città è andata in scena la rabbia e la frustrazione di pezzi di una generazione sottopagata, ipersfruttata, super precaria.
Magari qualcuno avrebbe preferito “classici cortei sindacali” e di certo ci saranno, a cominciare da venerdì con le proteste dello spettacolo e lo sciopero dei rider contro il nuovo contratto capestro firmato dal sindacato (quello sì di estreme destra) Ugl. Non ci si può aspettare di togliere lavoro a tutti i settori che hanno fatto della “informalità” l’unica possibilità di sopravvivenza, come molti nella ristorazione e nello spettacolo, e quindi lasciare migliaia di persone escluse anche da bonus/ristori/redditi, senza che queste si incazzino almeno un po’. Né si può aspettare rivendicazioni organizzate e pacifiche da parte di migliaia di persone che un sindacalista non l’hanno mai visto nemmeno con il binocolo, sul loro posto di lavoro, e che in molti casi manco ce l’hanno un posto di lavoro dove potrebbero incontrarlo perché parcellizzati in mille rivoli di sedi disperse.
Che c’entra con la Spagna? C’entra perché per decenni il taglio delle tasse ha tagliato i servizi, ha portato al taglio del welfare, che ha portato a non avere le risorse per gestire la sanità e usato questo come scusa per privatizzare. Per questo è lecito chiedersi “chi deve pagare questa crisi”, perché il debito pubblico sfiorerà secondo le previsioni il 160% del pil tra poche settimane e qualcuno dovrà poi ripagarlo. Chi pensa che a doverlo ripagare siano i giovanissimi che incendiano i cassonetti, i figli di immigrati senza cittadinanza fino a 18 anni, i lavoratori in nero che alle 18 non hanno più nulla da fare, troverà altri cassonetti incendiati sulla strada, altre borse di Gucci rubate, altri monopattini rovesciati.
Chi inizia a mettere in chiaro che a pagarla dovranno essere i più ricchi fa una scelta diversa, almeno simbolicamente.